Dai recessi più oscuri dell’incubo americano (Non Aprite Quella Porta, Vacancy, La Casa Dei 1000 Corpi…) all’Europa dell’Est (Hostel), fino al Sudamerica (Turistas): lo scempio di giovani corpi, sempre ragazzi e ragazze di aspetto gradevole e morale riprovevole, sembra il riflesso cinematografico del (fondato) timore degli americani di essersi alienati le simpatie internazionali.
La paura di essere diventati dei bersagli a causa della dissennata politica bellica dell’era Bush, l’arrogante rifiuto del protocollo di Kyoto, la messa all’indice degli “Stati Canaglia”, le torture, gli affari luridi della ricostruzione post-bellica, il palese tentativo di controllo delle risorse petrolifere, le bugie, i rapimenti, ecc… In effetti, i due mandati consecutivi del peggior Presidente di tutti i tempi hanno gravemente compromesso l’immagine internazionale degli U.S.A., mentre il cinema continua a rappresentare con accanimento lo smembramento della “peggio gioventù” statunitense, una generazione di agnelli sacrificali condannati a pagare per le colpe dei padri. È lo stesso corpus nazionale che viene straziato, dallo straniero, per soddisfare pulsioni sempre più oscure e rivoltanti.
E perciò, come si spiega Borderland, vera “macelleria messicana” di giovani virgulti apparso nella fase di massimo entusiasmo per Obama? E ancora, siamo cattivi se non ci dispiacciamo troppo quando gli antipaticissimi ragazzotti vengono nella finzione cinematografica torturati, divorati, ammazzati? Riguardo al primo quesito, è presto detto: la mediocre pellicola di Zev Berman risale al 2007, in pieno declino Bush, e porta l’orrore al confine di casa, in una Tijuana travisata in cui lo spaccio di droga si serve di sanguinosissime pratiche magiche, ancor più vantaggiose se praticate su giovani americani. Ed il ricordo va al “listino prezzi” di Hostel, ove il “l’animaletto” statunitense era il più ambito e costoso.
Per il resto, Borderland rimane indeciso tra torture-porno ed action-movie, e l’ottima fotografia sgranata e sudata di Scott Kevan non può da sola salvare una sceneggiatura tirata via tra cliché e déja-vu, dall’incipit improbabile e dal finale prevedibile. La regìa banalmente moderna, l’estetica codificata dell’arto mozzato, il solito “body count” ed il finale amaro rendono Borderland tanto inutile quanto innocuo. Riguardo al secondo quesito, la risposta è: no.
©CultFrame 06/2009
TRAMA
Nel crogiolo caratteristico di ogni zona di confine, a Tijuana, che non è ancora Messico e non è più America, ribollono forze pericolose che portano allo scoperto le capacità diaboliche di ogni essere umano, anche il più pacifico. Tra persone regolari, con normali vite di lavoro, in cui può identificarsi ognuno di noi, c’è chi sente l’impulso di seguire il leader di un culto con rituali primitivi che contemplano sacrifici umani.
CREDITI
Titolo originale: Borderland / Regìa: Zev Berman / Sceneggiatura: Eric Poppen, Zev Berman / Fotografia: Scott Kevan / Montaggio: Eric Strand / Scenografia: Tim Galvin / Musica: Andrés Levin / Interpreti principali: Brian Presley, Rider Strong, Sean Astin, Jake Muxworthy, Beto Cuevas, Martha Higareda / Produzione: Tonic Films / Distribuzione: Mediafilm / Paese: U.S.A., Messico, 2007 / Durata: 105 minuti
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Sito italiano del film Borderland di Zev Berman