Chi scriverà la nostra storia ⋅ Un film di Roberta Grossman

SCRITTO DA
Maurizio G. De Bonis

Lavorare sulla memoria significa non tanto rievocare fatti e persone in modo meccanico e prevedibile sull’onda di un flusso ormai inevitabile e standardizzato (flusso che serve solo ad assolvere e a coprire colpe), quanto piuttosto procedere grazie all’attualizzazione del passato nel presente per far sì che tragedie, orrori, crimini contro l’umanità diventino nella psicologia delle gente di “oggi” qualcosa di tangibile e quindi di realmente doloroso. Solo questo può essere il processo in grado di evitare altre mostruosità collettive, individuali, sociali e politiche.

Per quel che riguarda la Shoah, in tal senso, negli ultimi decenni si è fatta una gran confusione con il risultato che le grandi opere sulla memoria (della Shoah) sono praticamente sconosciute al grande pubblico (vedi i capolavori del documentarista Claude Lanzmann), mentre film molto approssimativi e fortemente discutibili (vedi La vita è bella) se li ricordano tutti. Questo è il problema gigantesco della macchina cinema, qualcuno dirà. E così se il marketing e lo star system finiscono per prevalere sul valore della memoria (e dell’arte sulla memoria) ecco che i danni sono fatti.

Questa introduzione ci serviva per aprire il nostro discorso critico sul film di Roberta Grossman Chi scriverà la nostra storia (Who Will Write Our History). Diciamo subito, a scanso di equivoci, che in questo caso ci troviamo nell’ambito dei veri, autentici, film sulla memoria.

L’opera in questione è oltretutto basata su una struttura espressiva, estetica e stilistica decisamente complessa e ricca di sfumature. La tecnica usata dalla regista americana è positivamente meticcia e articolata. Il suo lavoro è infatti basato su un abile e paziente processo di ricucitura di elementi molto diversi tra loro: documenti visivi d’archivio, ricostruzioni di finzione, interviste ad esperti della materia trattata. Attraverso questa interessante architettura compositiva Roberta Grossman è riuscita a narrare una delle storie più incredibili e toccanti della Shoah e della seconda guerra mondiale.

La vicenda riguarda il cosiddetto Oyneg Shabes, un nome in codice che nascondeva un’organizzazione che durante la segregazione ebraica nel ghetto di Varsavia aveva il compito di scrivere tutto ciò che capitava agli ebrei nel ghetto della capitale polacca, il tutto fino alla rivolta, alla liquidazione dell’area da parte dei nazisti e alle deportazioni nei campi di sterminio.

Roberta Grossman

Circa sessanta ebrei rinchiusi nel ghetto, per lo più giornalisti, professori, artisti, intellettuali scrissero fiumi di riflessioni, cronache, pensieri, racconti, poesie, canzoni, testi in generale che furono seppelliti in uno scantinato la cui ubicazione era conosciuta solo da tre appartenenti all’organizzazione. Oyneg Shabes, infatti, era assolutamente segreta e costituita a compartimenti stagni. La paura di questi coraggiosi soggetti, infatti, era quella di essere scoperti dai nazisti e quindi di non poter trasmettere ai posteri la realtà dell’orrore che stavano vivendo raccontata dal loro punto di vista, appunto. Alla fine della guerra l’archivio fu miracolosamente ritrovato sotto le macerie di una Varsavia devastata dai bombardanti ed è giunto fino a noi permettendo, così, a Roberta Grossman di narrare questa vicenda di cui non si è mai parlato molto (a parte il libro scritto dallo storico Samuel Kassov).

Il meccanismo della memoria è attivato dall’autrice del documentario grazie soprattutto al rigore creativo e intellettuale con il quale ha costruito la sua opera. Non ci sono concessioni alla spettacolarizzazione della Shoah (come in genere si vede nel cinema contemporaneo) e se proprio dobbiamo muovere una velata critica dobbiamo puntare l’attenzione su una tendenza, in una fase centrale dei documentario, a far vedere troppo esplicitamente corpi devastati e abbandonati per le strade di Varsavia. Questa aspetto, però, è veramente contenuto (a livello temporale) e non esibito, e dunque non compromette gli esiti molti alti del film.

Certo, il racconto è duro, tragico, molto doloroso, a tratti insostenibile, ma tutto viene filtrato dalla lettura dei testi dei componenti di Oyneg Shabes. Proprio questi testi fanno entrare lo spettatore in diretta comunicazione con le persone che vissero la terribile esperienza della reclusione nel ghetto di Varsavia, esperienza che certamente non può, e non deve, generare memoria solo nella ricostruzione creativa di un film di finzione.

Ciò che emerge da questa produzione documentaristica, dunque, è una profonda verità (ed è bene ribadire la parola verità visto i negazionisti che circolano ai nostri tempi) la verità di un popolo che ha sofferto una persecuzione unica nella storia dell’umanità, la verità sulla follia criminale del nazismo e dei suoi adepti.

© CultFrame 10/2018 – 01/2019

TRAMA
Nel novembre 1940 nel ghetto di Varsavia i nazisti rinchiudono quasi 500.000 ebrei. Gli abitanti del ghetto non possono uscire fuori, non possono lavorare, commerciare, e avere alcun contatto con l’esterno. Velocemente la situazione nel ghetto si farà drammatica e così un manipolo di intellettuali deciderà di dare vita a un’organizzazione segreta, Oyneg Shabes, la Gioia del Sabato in lingua Yiddish), che avrà il compito di scrivere e raccontare la verità sugli orrori che sono costretti a vivere a causa del nazisti. Alla fine della Seconda guerra mondiale l’enorme archivio di testo di Oyneg Shabes sarà per fortuna ritrovato.

CREDITI
Titolo: Chi scriverà la nostra storia / Titolo originale: Who Will Write Our History / Regia e sceneggiatura: Roberta Grossman / Fotografia: Dyanna Taylor / Montaggio: Chris Callister, Ondine Rarey / SCenografie: Frank Gampel, Marek Warszewski / Musiche: Todd Boekelheide / Voiceover: Joan Allen, Adrien Brody, Charlie Hofheimer, Peter Cambor / Attori: Jowita Budnick, Piotr Glowacki, Karolina Gruszka / Produzione: Roberta Grossman / Distribuzione: Wanted / Paese: USA, 2018 / Durata: 95 mintui

SUL WEB
Sito ufficiale del film Who Will Write Our History di Roberta Grossman
Filmografia di Roberta Grossman
Festa del Cinema di Roma – Il sito
Wanted

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Maurizio G. De Bonis

Maurizio G. De Bonis è critico cinematografico e delle arti visive, curatore, saggista e giornalista. È direttore responsabile di Cultframe – Arti Visive, è stato direttore di CineCriticaWeb e responsabile della comunicazione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Insegna Cinema e immagine documentaria e Arti Visive Comparate presso la Scuola Biennale di Fotografia di Officine Fotografiche Roma. Ha pubblicato libri sulla fotografia contemporanea e sui rapporti tra cinema e fotografia (Postcart), sulla Shoah nelle arti visive (Onyx) e ha co-curato Cinema Israeliano Contemporaneo (Marsilio). Ha fondato il Gruppo di Ricerca Satantango per il quale ha curato il libro "Eufonie", omaggio al regista ungherese Bela Tarr. È Vice Presidente di Punto di Svista - Cultura visuale, progetti, ricerca.

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